In attesa della presentazione a fine maggio del primo volume del Lessico del cinema italiano. Forme di rappresentazione e forme di vita presso la Biblioteca “Renzo Renzi” della Cineteca di Bologna, ho avuto la possibilità di porre qualche domanda a Roberto De Gaetano, curatore dell’opera e autore della voce che la apre, “Amore”.
La pubblicazione dei tre volumi del Lessico – di cui presenteremo il primo – rappresenta il punto d’arrivo di un percorso che ha coinvolto professori, studiosi, università e studenti di tutt’Italia. Com’è cominciato?
il progetto è nato come progetto editoriale, dall’idea di voler costruire un discorso nuovo sulla tradizione cinematografica italiana, che comunque era già stata oggetto di importanti ricognizioni di tipo storiografico. Per far sì che gli autori coinvolti si potessero muovere in un terreno comune, di condivisione di idee, di visioni e sentimenti che potessero guidarci nel modo migliore verso la costruzione un’opera organica, il progetto ha avuto delle fasi preparatorie che hanno compreso anche seminari e incontri che si sono svolti in alcune Università (tra cui Bologna, Messina, Roma Tre, Siena) e istituzioni italiane, come la Cineteca Nazionale di Roma.
Colpisce la scelta di non procedere in rigoroso ordine cronologico, o per autori, ma per lemmi, dalla “A” di “Amore” con cui inizia questo volume alla “Z” di “Zapping” con cui si concluderà il terzo. A cosa si deve questa originale scelta?
È emersa un’esigenza, condivisa poi dai colleghi – sia da gli studiosi affermati, che quelli più giovani – di poter riconoscere la straordinaria grandezza, complessità e singolarità della nostra tradizione cinematografica rileggendola alla luce di alcuni concetti o categorie fondamentali.
Una lettura che non si sviluppasse esclusivamente lungo una dimensione contenutistica, perché questo non sarebbe stato un percorso di particolare interesse, ma che fosse in grado di mettere in relazione – come indica il sottotitolo dell’opera – forme di vita e forme di rappresentazione, lungo tutte le voci che compongono questo volume; fin dalla prima,”amore”, che riguarda la storia delle relazioni intime, ma che è anche un discorso su due forme generiche fondamentali del nostro cinema – il melodramma e la commedia –, che sono indissociabili dal modo in cui viene rappresentato il sentimento d’amore.
In tutti i testi, la storia e le storie del cinema si intrecciano con la storia del nostro Paese e della nostra società. E’ un taglio che avete perseguito intenzionalmente, o che si è sviluppato in corso d’opera?
E’ un dato per molti versi dire inevitabile, ampiamente acquisito, ma che qui emerge con una straordinaria chiarezza: il tratto distintivo della nostra tradizione cinematografica è quello di essersi posta in rapporto stretto e vincolante con il presente (soprattutto a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale, con il neorealismo italiano), e da questo dato discende naturalmente l’intreccio a cui lei fa riferimento.
Questo legame così forte con il presente ha orientato dunque la lettura dei film e del nostro cinema, in questo passaggio tra immagini, film, forme di rappresentazione e forme di vita privata, sociale e pubblica.
Ogni saggio parte dal riferimento preciso a un film molto recente, per poi allargarsi a ripercorrere tutto il secolo di storia della nostra cinematografia. Con quali criteri avete individuato i film di cui trattare, e quelli inseriti nella filmografia suggerita a conclusione di ogni voce?
Questa è un’indicazione che ho voluto dare fin dall’inizio per far emergere un segno molto chiaro: il Lessico non vuole essere un’operazione retrospettiva, ma quella che, in termini foucaultiani, possiamo chiamare prospettiva archeologica: guardare al passato per capire meglio il presente, e leggere il presente per poter rileggere altrimenti il passato. Ho voluto rendere esplicito questo transito fra passato e presente chiedendo agli autori di iniziare ogni saggio con il riferimento a un film recente; dopodiché ogni autore è stato libero di selezionare l’insieme dei film rilevanti per la stesura della sua voce, che doveva essere guidata esplicitamente dall’emergere di un tema, cercando di distribuirli nell’arco temporale più ampio possibile, dall’epoca del muto fino ad oggi, valutando quali fossero a suo giudizio i film decisivi e importanti per la sua trattazione. Naturalmente accanto ad alcuni film di riconosciuto valore, interesse e fama, ci sono opere più “marginali” che l’autore ha ritenuto fondamentali per capire e per estendere la sua voce.
Nel corso del lavoro sono emersi elementi comuni a tutti i contributi, o ha riscontrato differenze significative negli approcci o nelle conclusioni?
Quello che è emerso con forza è l’idea a cui accennavamo prima, che occuparsi di tradizione cinematografica italiana significa occuparsi di quel passaggio, quel transito sempre molto esplicito, fra film, immagini, rappresentazioni e modi di vita, e questo indipendentemente dal differenziarsi delle singole voci.
Si è evidenziato anche un tratto fortemente ambivalente della nostra tradizione culturale e civile, a cui già aveva pensato in maniera molto chiara ed esplicita Leopardi, a partire dal suo saggio “Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani”. Esiste un’ambivalenza, a volte vera e propria contraddizione, che nella cultura e nel comportamento degli italiani parte dal rifiuto e dalla presa di distanza dalle codificazioni più tradizionali, che Godard nella frase che ho utilizzato nella quarta di copertina, tratta dalle Histoires, chiama l’essere “senza uniforme” del popolo italiano (che da un punto di vista politico ha significato anche indossarne molte). Questa refrattarietà alle codificazioni e alle uniformi, che spesso ha significato il caos del punto di vista politico e sociale, ha avuto come contropartita quella che Leopardi stesso ha definito una sorta di vicinanza radicale degli italiani al sentimento della vita, al carattere transitorio e finito dell’ esistenza; sentimento capace di dar vita ad una potenza espressiva per molti versi straordinaria.
Credo che in molte delle voci risalti questa ambivalenza quasi strutturale, per cui gli italiani sono refrattari alle convenzioni e ai modi di vita più socialmente istituiti, ma questo è anche un vantaggio perché sono più vicini alla potenza della vita e al suo essere in fondo “senza uniforme”. E se questo lo aveva capito Leopardi, lo hanno anche ben capito e ripreso nel nostro cinema autori come Rossellini, e sviluppato in tutte le sue contraddizioni figure come quella di Pasolini.
Adesso che con la prossima pubblicazione del secondo e del terzo volume l’opera si avvia a conclusione, crede che questo vostro lavoro possa essere il punto di partenza per ulteriori approfondimenti?
Come ho detto, il progetto è nato da un desiderio e da una domanda. L’idea di ripensare la nostra tradizione cinematografica è stata anche un’occasione per riprendere in mano e rileggere in forma nuova molti dei materiali, filmici e bibliografici, che la compongono.
Usciranno presto gli altri due volumi, che sono, a partire dal secondo, in fase avanzata di preparazione; ma mi auguro che questo progetto possa rilanciare altre iniziative che lo sviluppino, da parte sia di coloro che vi hanno partecipato sia di altri studiosi, perché ritengo che uno dei compiti importanti che abbiamo, anche come docenti universitari di cinema, sia quello di continuare a interrogarci, magari attraverso approcci e modi originali, su una tradizione cinematografica per molti versi straordinaria, che oltre ad influenzare buona parte del cinema mondiale della seconda metà del Novecento (fino a Tarantino), è una via d’accesso unica alla comprensione della realtà sociale e culturale di questo Paese.
(intervista raccolta il 19 gennaio 2015)
Lessico del cinema italiano. Forme di rappresentazione e forme di vita. Volume 1
a cura di Roberto De Gaetano
Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2014
con saggi di Roberto De Gaetano, Emiliano Morreale, Luca Venzi, Marcello Walter Bruno, Massimiliano Coviello, Federica Villa e Francesco Zucconi.